Notre-Dame des Fleurs by Jean Genet

Notre-Dame des Fleurs by Jean Genet

autore:Jean Genet [Genet, Jean]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788865764114
editore: il Saggiatore
pubblicato: 2021-12-26T23:00:00+00:00


Con Gorgui, Divine si trovò ben presto a mal partito. Il negro giocò con lei come il gatto col topo. Fu feroce. Costringendola a restare distesa sul divano, immobile, con le braccia lungo il corpo, s’inarcava sopra di lei, e il membro gli rimbalzava violentemente sul ventre nero e duro: uno scudo. Fece piangere Divine. Le proibiva di toccarlo. D’un sol colpo si lasciò cadere su di lei. La verga di Divine si curvò. Gorgui le baciò la bocca. La sua lingua era dura, severa. Le forzava le labbra, i denti, e una volta entrata, compiva la sua bisogna di trivella, di piovra, di sanguisuga, di membro. Si ritrovarono entrambi bagnati.

E allora? Con la guancia appoggiata sul petto nero (la parrucca saldamente applicata) Divine ripensa a quella lingua così forte mentre la sua è molle. Tutto in Divine è molle. Ora, mollezza o turgore sono una semplice questione di tessuti in cui il sangue scorre più o meno abbondante, e Divine non è anemica. È colei che è molle. Vale a dire, il cui carattere è molle, le guance molli, la lingua molle, la verga moscia. In Gorgui tutto ciò è duro. Divine si stupisce che possa esistere un rapporto tra quelle diverse cose molli. Poiché durezza equivale a virilità… Se Gorgui avesse anche una sola cosa dura… e dato che è una questione di tessuti. La spiegazione sfugge a Divine, che pensa soltanto: “Sono la Tutta Molle”.

Gorgui abitò dunque la soffitta che volava sulle ali delle tombe, sulle colonne dei sepolcri. Vi portò la sua biancheria, la sua chitarra e il suo sassofono. Trascorreva ore e ore suonando a memoria ingenue melodie. Alla finestra, i cipressi erano attenti. Divine non nutriva per lui alcuna tenerezza particolare, gli preparava il tè senza amore, ma, poiché le sue economie si assottigliavano, aveva ricominciato a battere il marciapiede, e ciò le impediva di annoiarsi. Cantava. Alle sue labbra salivano informi melodie in cui la tenerezza si mescola all’enfasi, come nei canti primitivi che, soli, possono suscitare commozione, al pari di certe orazioni, salmodie, al pari degli atteggiamenti gravi, solenni, imposti da un codice liturgico primitivo, da cui il riso schietto e blasfemo è bandito, tutte incrostate come sono, ancora, dai desideri delle divinità: Sangue, Paura, Amore. Un tempo Mignon beveva pernod da quattro soldi; oggi, Gorgui beve cocktail composti da liquori costosi, ma in cambio mangia poco. Un mattino, erano forse le otto, Notre-Dame bussò alla porta della soffitta. Divine era rannicchiata nell’ombra odorosa, quanto può esserlo una savana, del negro beatamente addormentato sulla schiena. I colpi alla porta la svegliarono. Sappiamo che, da qualche tempo, di notte indossava un pigiama. Gorgui continuava a dormire. Si trascinò sul suo ventre nudo e bollente, lo scavalcò inciampando contro le cosce madide ma solide, e domandò:

«Chi è?».

«Sono io.»

«Ma chi?»

«Oh! Cazzo, non mi riconosci? Fammi entrare, Divine.»

Aprì la porta. Prima ancora di vedere il negro, Notre-Dame fu informato della sua presenza dall’odore.

«Che puzza. Hai un inquilino. Bene. Senti, bisogna che mi sdrai, sono stanco morto. Hai posto?»

Gorgui stava risvegliandosi.



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